La
storia della vita – e della carriera – di Pirkko Künnap
può riassumersi nell’espressione «ritorno all’indietro».
Vediamo come.
Il
futuro teorizzatore della Architettura dello Spazio Percepito,
nonché il fondatore della cosiddetta Scuola Künnapiana,
nasce casualmente (perché il padre, l’insigne divulgatore
dell’Urbanistica Neo-lappone Ago Künnap, si trova lì
per una conferenza internazionale sullo stile manuelino) a Lisbona.
È il 7 settembre del 1957. Vede la luce mentre la madre sta per
terminare il penultimo mese di gravidanza e, di fatto, anni dopo –
quando sarà già diventato uno dei massimi esponenti dell’architettura
europea – la donna confesserà che avrebbe voluto chiamare
il figlio Settimo, e di non averlo fatto solamente per un «lontano
ed inspiegabile senso di pudore».
Pirkko Künnap è un ragazzo straordinariamente vivace, difficile
da tener sotto controllo. Per esercitare la propria autorità
sopra di lui, a più riprese il padre Ago ricorrerà al
sistema dello «Sgabuzzino di Lapponia»: un minuscolo stanzino
senza luce (o, più probabilmente, una vecchia sauna in disuso)
dentro il quale il giovane Pirkko sarà ripetutamente rinchiuso.
Ad ogni modo – e ancora senza permetterci di venir fuori dall’aneddoto
– Pirkko Künnap finirà le scuole dell’obbligo
ad appena sette anni, e si laureerà all’Università
della Sorbona (con gli stessi insegnanti del padre) a diciassette.
Il suo primo progetto realizzato è, quindi, l’Herslundmuseum
di Copenaghen (1974), in Danimarca, conosciuto anche come «il
museo dalle sette volte sette sale per le sette arti». In quel
periodo lo stile künnapiano era ancora lontano dall’aver
preso forma, e il giovane architetto risentiva chiaramente di una curiosa
influência art-déco, in seguito mai più
sviluppata.
Comunque, già a partire dalla Casa del Silenzio di Chester-on-the-Mills
(Silence House) del 1978, disegnata e costruita per un milionario
inglese, inizia ad apparire la caratteristica interpretazione dello
spazio künnapiano. Qui vediamo una struttura cubica di centocinquanta
metri per lato, costituita da un’unica camera, priva di finestre
e con porte occultate nelle pareti, totalmente bianca.
L’idea che «lo spazio è una dimensione soggettiva,
dipendente dai pensieri e dalle esperienze di ciascun essere umano»
(intervista a «Architectural Digest», marzo 1995), risalterà
con sempre maggior forza nei lavori successivi del maestro finlandese:
Zero Manor, 1979-80; la stazione di Uppsala, senza binari,
1982; il palazzo del Ministero degli Affari Esteri della Guinea-Bissau,
1984 (che ripete, dividendolo e moltiplicandolo in 4.900 sale, il concetto
sviluppato nella Casa del Silenzio).
Fino alla cosiddetta Vila Simples, all’Estoril, del 1995
– che segna pure il ritorno al Portogallo (e non solo) dell’architetto
–, in cui Pirkko Künnap realizza un’altra struttura
cubica, stavolta di soli tre metri per lato. Anche qui mancano le finestre
e non ci sono porte visibili, ma la novità della Vila Simples
è l’assenza assoluta di qualsiasi fonte di luce, e che
l’interno di questo edificio è dipinto di nero.
La costruzione dell’Estoril, che ha fatto tanto parlare di sé,
dovrebbe essere, per Künnap, «il punto d’arrivo d’un
percorso mentale che si riflette, inevitabilmente, nella creazione reale
e offerta all’uomo al di là dei suoi stessi sensi».
Architettura dello Spazio Percepito, dunque, che sarebbe analisi
e riproposizione della memoria e del vissuto, quali essi siano stati,
dell’autore. «Non provo alcuna vergogna», dirà
infatti Pirkko Künnap rispondendo al suo più grande critico,
il greco Kariotidis, «nell’aver fatto ritorno allo “Sgabuzzino
di Lapponia”… Al contrario, devo esser grato a mio padre
Ago: i castighi e le punizioni ci aprono la mente, ci fanno guardare
al mondo in una maniera diversa – quella che, forse, è
la maniera vera…».
Questo nella sua ultima dichiarazione, in occasione del conferimento
del Premio Aalto, nel 1996.
Oggi,
mentre attendiamo che venga finalmente pubblicato il libro scritto di
suo proprio pugno dall’architetto finlandese (il cui titolo sembrerebbe
dover essere La stanza buia: sette autobiografie senza menzogne),
rimaniamo con gli interrogativi che ormai ci accompagnano da quasi quindici
anni: dov’è Pirkko Künnap? Per quale motivo un uomo
di immensa fama e ricchezza, un genio celebrato da una moltitudine di
epigoni e di ammiratori, è sparito così, da un momento
all’altro?
E… se avesse ragione il greco Kariotidis, il nemico di sempre,
quando dice: «Accendete le luci, guardate nel cubo dell’Estoril,
giusto in fondo alla stanza»?…
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