C’era una differenza fra l’alto e il basso. Una qualità del pensiero. Un livello delle idee. Quanto era più vicino al cielo, tanto più le storie si rincorrevano, l’una dietro l’altra, farfalle che si inseguivano fuori dalla sua testa, salendo verso le nuvole.
Tuttavia la vita non era stata generosa con l’uomo, con l’inventore di storie. Fremeva, senza speranze, giorno dopo giorno, in sottoscala angusti ed oscuri, in scantinati di povertà assurda e luce lontanissima.
Solo nei sogni fuggiva dall’oscurità del ventre della terra. Allora era come se si librasse nell’aria, leggero, a caccia di raggi di sole — o racconti —, danzando come un fiocco nel vento.

 

 

Quando comprese che doveva sostituire un silenzio a un altro silenzio — ché era l’unico modo —, tristezza e felicità si fusero insieme. Rassegnazione, pensò. Forse è questa la rassegnazione.
Del crimine che commise — che architettò e compì freddamente, secondo un disegno minuzioso e efferato — non è dato sapere. E non conta.
Ciò che interessa è che fu quella la via per la torre.

Così si spalancarono le segrete della torre dei criminali, del luogo più odioso e temuto di quel paese arretrato, dalla giustizia crudele. Ma anche del luogo più in alto di tutti. Per un periodo di tempo che dipendeva dal verdetto, la società esponeva il reo dei delitti considerati più biechi alla solitudine di quel pinnacolo scabro, esempio visibile da qualsiasi punto — anche per leghe e leghe al di là dei confini.
Spesso i condannati gridavano fino a impazzire: c’era chi diceva che fosse l’attesa dell’esecuzione; altri credevano fosse colpa del vento, ché a forza di intrufolarsi e fischiare fra le fessure in mezzo alle pietre finiva per farsi rispondere. I carcerieri riferivano di dialoghi inconcepibili, senza capo né coda, fatti di frasi, di sibili e vortici. E spergiuravano che, sempre, veniva un momento in cui non si notava più differenza fra il lamento umano e quello dell’aria.
Quella volta, però, non si udì né un gemito né un mormorio. Nessuno pianse, si mise a chiamare o farneticò.

 

 

Prima di essere condotto alla morte (neanche della pena sappiamo, ma è un dettaglio altrettanto superfluo) l’uomo, l’inventore di storie finalmente vicino al cielo, scrisse pagine e pagine. E volti, e parole; emozioni, dolori, piaceri. Come farfalle i suoi pensieri uscirono dalle feritoie della prigione-vetta. In un girotondo muto giocarono, tra la torre e le nubi. Mentre l’uomo nemmeno quell’attimo ebbe coscienza del nuovo silenzio imminente, della sua prossima fine.

 

 

Torna ai Racconti