Hai
detto: « Amo la pioggia... »
E io ho sognato
Di nuovo, come faccio sempre
Dei pozzi profondi, verdi, abissali
Dove si immerge il mio sole
E riaffiora
E scorrono lacrime tiepide
Lungo le pareti
Non
c’è angustia, velocità
Se non nei tuoi raggi
E nei miei luccichii
Allora
il Giorno può anche
Diventare Notte, e la Notte
Cambiarsi nel Giorno
Penso
al tuo sorriso
Tutto s’inverte
— Nessuna paura —
Il Tempo che non ha più senso
Né il Buio
E neppure la Luce
I
tuoi occhi mi stanno guardando
Notti
e giorni
sguardi
e mani
mentre il fondo del petto rimane in attesa
Ali
di colomba
senza alcuna fretta
falangi tiepide
giocano coi desideri
miei e tuoi
Parole,
volate via
Lontano,
vicino
Sempre troppo lontano da te
Silenzi
— vorrei che il Nulla colmasse il Mondo
Un abbraccio caldo, incosciente
Socchiudi le labbra
Petali — umidità, arroganza dolce, che non fa male
Stringimi in fondo ai tuoi nervi
E dopo lascia che venga il sonno, sì — dormi
Fatti piccola piccola
Qui, dentro la mia spalla
Come in un nido di piume
Buie più della Notte
Ascolta:
il silenzio che vola
E bisbiglia parole
D’amore
Non
ho visto le tue mani
Non
le ho viste quando mi hai sfiorato
Il
buio — una coperta calda
Felicità
nel diventare ciechi
Un
istante solo
Spegnere
tutte le luci del mondo
E
gioioso e commosso e accecato e — e...
E
milioni di nuovi respiri
Dalla
nostra pelle
Un
regno sconosciuto
Mi scoppia il petto
Precipito
In fondo al tuo sole
Esplodendo oro e fiamma
Inimmaginabili

E
eu sigo sonhando com as tuas carícias
Com
o teu olhar verde
Com
o sopro das tuas asas que me agita
Até
ao fundo das entranhas
Tenho um coração
que é pétala, que é folha
Sacudido
pelo vento dum chorar antigo
De
que os meus olhos não se lembram

(Cuarteta)
El
sabor de tus labios necesito
Comer
lo dulce junto a la amargura
No hay descanso y no hay ganas
Sin
tus besos
La
mia via è secca di sabbia
e passa per l’ampiezza dei tuoi templi
alti
e profondi d’opale
e di oro,
e sale come febbre segreta
intensa
la violenza del Sole,
il falco che vola strappando la carne
libero.
(Bassorilievo)
Si
muove la veste, pare oscillare del gioco del vento;
credimi: ché eri un soffio di polvere,
cipria di perle caduta, adagiata oscillando
sopra le guance affioranti dal buio.
La
mia carezza — puoi ricordarla? —,
le dita tremanti, vacue, oscurate:
affondavo fra le tue pieghe,
mi ingoiavano i tuoi rilievi.
Osservai
fedele e silente
ogni rituale, ogni passaggio
del Libro scolpito dalle labbra chiuse,
quell’onda aberrante di pietra.
Allora
rubai la Luce,
persi la strada,
mercanteggiai, addirittura,
sul prezzo della mia anima.
Era
per te? — non m’importa.
Ascolta: il silenzio splende come diamante
ed è integro e puro,
vergine affilata, tagliente.
Nient’altro
che un simbolo, un segno
senza speranza che il Caos ti abbia a cuore,
che il vento, con forza, cancelli
l’inutile e sorda mutezza,
il tratto orizzontale,
la cecità del profilo,
l’insulto dei giorni.
L’icona
senza colore ti guarda:
ti fissa vuota, incorporea, lontana;
lo specchio riflette poveramente
ogni mancanza, ogni assenza.
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