Brani dal romanzo

Unica fine, in più parti, di un presunto untore

(Capitolo 10)


Wilhelm il frisone, l’uomo che vendeva i pianeti con i suoi pappagallini, lasciava a ogni passo una scia di sangue sopra la neve. Il naso e la bocca, nonché una spaccatura piuttosto profonda del sopracciglio, gli arrossavano il busto, e la chiazza vermiglia gli aveva intriso persino i pantaloni — tutta la coscia destra fin quasi al ginocchio. Le gocce scure, nerastre, affondavano in silenzio dentro il terreno imbiancato, e poi il girovago, il dispensatore di profezie, trascinava la gamba spezzata e, zoppicando, impastava il sangue col fango e il nevischio.
Era l’alba, oppure il tramonto — il frisone non lo ricordava. La luce cadeva trasversalmente sul mondo. Ed era così debole, fioca, che i suoni sembravano prendere forma e colore, invadere le prospettive ed i corpi — fino a sostituirli, semplicemente. L’affanno raschiato del grosso uomo ferito, fuggiasco; lo scalpiccio strascicato — un passo a fondo, pesante, e l’altro piede tirato via, con fatica —; il brusio veemente, molteplice, degli inseguitori, sempre più nitido, sempre più vicino... (Leggi tutto)

 

 

L’attesa. L’assenza

(Capitolo 16)


Lettera di Dona Beatriz de Bragança a Harald III

 

Lille Havn, 17 di marzo 1770

Mio Amato Signore,
è dopo lungo tentennamento che mi risolvo a scriverVi di questo viaggio, possibile solo grazie alla Vostra generosità e grandezza d’animo. Più volte mi è accaduto di soffermarmi a riflettere sulla Vostra scelta: se è vero, infatti — come dite (e come potrei dubitarne?) —, che avete per me gli stessi sentimenti che io ho per Voi, allora ben immagino quanto sia stato arduo esaudire le bizzarre volontà di questa testa matta, concederle — concedere a colei che onorate del Vostro interesse — di esporsi a chissà quali pericoli soltanto per appagare la sua brama di conoscenza. Benché infatti, come asserisce lo stesso Dottor Pedersen, le notizie acquisite e verificate dal Collegio Sanitario Reale assicurino che il rischio di contagio sia ormai debellato, mi sembra quasi di avvertire l’inquietudine e l’ansia che la Vostra Persona Serenissima deve aver provato per i possibili pericoli ai quali la sottoscritta ha voluto esporsi; e d’averVi procurato questi turbamenti mi dolgo nel più profondo della mia anima.
Di questo viaggio Vi scrivo, dunque. Un viaggio che ha dell’incredibile, Mio Caro, non foss’altro che — ne ho la certezza — tutti noi che l’abbiamo affrontato ne torneremo in qualche modo diversi, cambiati.
Ma è necessario che mi spieghi meglio... (Leggi tutto)

 

 

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