Novità editoriale: esce Il Barone dell’Alba, l'avventura senza tempo di Stefano Valente
di Maria Grazia Stella («Ostia TV»)

In uscita il 14 ottobre l’ultimo romanzo storico dalle ambientazioni settecentesche edito dalla Graphofeel edizioni. Intervista con l’autore

Roma - Esce il 14 ottobre Il Barone dell’Alba di Stefano Valente, un romanzo storico dalle ambientazioni settecentesche che catapulterà il lettore in un’avventura senza tempo. «Alterne venture, viaggi e peripezie, come li visse il giovine Francesco Antonio, Barone di Santamaria di Calòria, narrati da lui medesimo».

La fine del ’700: il Grand tour del barone borbonico Francesco Antonio si trasforma ben presto in una rocambolesca sequenza di avventure cui fanno da sfondo l’Italia e il Mediterraneo dei pirati barbareschi, la Sicilia e Malta, fino all’Egitto delle antichissime divinità teriomorfe e dei loro orripilanti misteri. Sulle tracce di un enigmatico ritratto di donna trafugato dalla dimora del Cardinale de la Caravela, il barone di Santamaria di Calòria percorrerà i mari e gli Stati, in compagnia di preti avventurieri e bestemmiatori, di sbirri negromanti dall’ambigua bellezza, braccato dai sicari della Chiesa e dalle spie del «Catapano» di Doràntia: l’ex inquisitore, «il porruto» Nicolás Deseado.

Rapimenti, duelli, le prime esperienze dei sensi. Dalle sabbie del deserto africano al ritorno – attraverso le segrete e i roghi dell’Inquisizione – nella città dorata dove ogni cosa ha avuto inizio. La Storia si fonde con l’Immaginario. Le lingue, le parlate e i dialetti si amalgamano nella narrazione torrenziale, senza soluzione di continuità, delle alterne venture. Sfilano tableaux ricchissimi e vivaci di luoghi; comparse e personaggi mai del tutto decifrabili, ciascuno col proprio insospettabile segreto. E soprattutto scorre davanti ai nostri occhi il racconto della Notte che incalza invano il Mattino e le sue rivelazioni: poiché sa che, quando infine li avrà raggiunti, non sarà in grado di riconoscerli. Verità e Finzione, Ragione e Follia, Voce e Silenzio, si danno convegno per raccontare una vita.

Intervista a Stefano Valente, autore del romanzo “Il Barone dell'Alba” edizioni Graphofeel

 Com'è nata l'idea del romanzo?

Alla base de Il Barone dell’Alba c’è innanzitutto la passione che coltivo per un particolare periodo storico: la fine del ’700. La conclusione del XVIII secolo, con l’Illuminismo, la rivoluzione francese e le sue conseguenze, è a un tempo la svolta verso la modernità vera e propria, il punto di non ritorno verso una fede sconfinata nell’uomo e nelle sue possibilità. Ma è anche l’illusione, il disinganno, la scoperta del limite: la luce della Ragione è offuscata dalla violenza, la natura del potere mostra ben presto il suo vero volto – con la Restaurazione dei vecchi monarchi sui troni d’Europa. È l’embrione e lo “specchio” dei nostri tempi, nei quali la scienza è sempre meno onnipotente e ogni conquista sociale sempre meno stabile. Il Barone dell’Alba è una storia di viaggi, avventure, furia, speranza, follia. Di fasti e miserie. D’amore e d’odio. Proprio come gli anni al termine del ’700: sfolgoranti, e d’improvviso spenti in un buio che sembrava eterno.  Non a caso il protagonista, un giovane nobile borbonico impegnato nel suo Grand Tour (il “viaggio d’apprendimento”), insegue per terre e per mari la luce: il quadro rubato che ritrae una fanciulla dallo «sguardo d’Alba» – un quadro che cela un segreto fatale…


Un romanzo storico, quindi. E non solo. 

Esattamente. Si devono superare i generi – chi scrive ha il dovere di sperimentare nuovi linguaggi e strutture. Il Barone dell’Alba è insieme un’avventura con fedeli ricostruzioni storiche e un romanzo d’appendice, un diario di viaggi e l’odissea di una vita umana tra equilibrio e follia. È anche e soprattutto il resoconto redatto di suo proprio pugno dal protagonista, un vero e proprio scritto settecentesco: Alterne venture, viaggi e peripezie, come li visse il giovine Francesco Antonio, Barone di Santamaria di Calòria, narrati da lui medesimo. Un libro nel libro, insomma. E molto di più…

Qual è l’iter che segui nella stesura di un romanzo?

Un romanzo – e un romanzo di ambientazione storica in particolar modo – è un lavoro difficile, esclusivo. Ti prende e ti assorbe completamente. Raccontare una storia è il punto finale di una maturazione interiore: quando cioè un bagaglio di esperienze, suggestioni, idee, letture, ti cresce dentro fino a straripare. In quel momento non hai più scelta, sei già assorbito dalle vicende che stai per narrare (e che prenderanno corpo sulla pagina bianca). Io non ho un modo abituale di procedere; di solito evito scalette o schemi preventivi da sviluppare poi. Il “disegno generale” di un libro si fa strada nella mia mente a poco a poco, e io lo assecondo con la scrittura e con le fasi di ricerca, di documentazione. A volte l’immagine di una scena è talmente “forte” da dar origine a un intero impianto narrativo. Mi è accaduto con Del Morbo – Una cronaca del 1770 (altro romanzo “settecentesco”): qui tutto ha preso il via dall’apocalittica visione finale del libro; da quella hanno a poco a poco sono nati ambientazioni, personaggi, trama. In ogni caso la genesi di un romanzo ha sempre un sapore magico: come inseguire una farfalla rara, fragilissima e forse inafferrabile. In territori sconosciuti. Scrivere però è anche impegno duro, costante, rigoroso. Torno e ritorno sul testo, correggo di continuo, elimino. Riscrivo nuovamente. L’autore deve essere il critico più severo di se stesso. E deve leggere, leggere sempre – i classici, i contemporanei. Con umiltà vera. Per imparare.

Quanta parte del libro è romanzata?

Mi piace agire su entrambi i livelli: realtà storica e immaginazione, dato oggettivo e fantasia narrativa. Il Barone dell’Alba è totalmente a cavallo tra questi due piani – un equilibrista sul filo sospeso fra verità e creazione. Il protagonista, ad esempio, incontra – e si scontra con – personaggi storicamente esistiti e con altri che sarebbero potuti esistere (come i pirati barbareschi che infestavano le rotte del Mediterraneo, assaltando e depredando le navi, e gli inquisitori del Sant’Uffizio della città-stato che è la prima tappa del suo viaggio). Il romanzo gioca di continuo con questa tensione tra reale e possibile.  Anche il linguaggio – o meglio, i diversi linguaggi che sono le voci del libro – sono, al contempo, davvero “settecenteschi” o plausibilmente tali. In questo senso il romanzo offre pure una rocambolesca messinscena teatrale coloratissima di dialetti, di idiomi esotici e non. Da linguista, nei miei libri non posso trascurare quest’aspetto.

Quale pensi sia oggi la posizione dei romanzi storici nel panorama editoriale? Hai espresso l’esigenza di un superamento del genere.

Oggi si etichetta facilmente come “storico” qualsiasi romanzo che si svolga nel passato. Indipendentemente dalla credibilità degli scenari, fatti e personaggi narrati, dalla cura delle ricostruzioni. Il lettore attento sa certo distinguere, apprezzare. Alla fine, insomma, non mette sullo stesso piano Il nome della rosa (tanto per citare forse il più noto, vero romanzo storico dei nostri tempi) e Il manoscritto maledetto di Napoleone (tanto per inventare un titolo “probabile”). Più superficiali appaiono invece le scelte editoriali, che stipano gli scaffali delle librerie – ma non quelli dei lettori – con romanzi-fotocopia dalle copertine rutilanti (ma pure quelle tutte uguali a se stesse). Anche in questo, purtroppo, dilaga un modello americano di popular fiction che in Italia si sta radicando sull’equazione Storia=Mistero proposta, senza tante cautele, dall’intrattenimento “pseudo-scientifico” della tv. Il problema di fondo è però che nel nostro Paese leggere non è affatto popular. Che in Italia si pubblica molto più di quanto si legga. Penso che la “facile” marea di libri su templari, segreti nazisti, occulti codici medievali ecc. non faccia bene né ai lettori né all’editoria. A nessun livello, né “popolare” né più propriamente letterario. Che si limiti a inflazionare di “cloni” sempre più scadenti un settore che invece dovrebbe cercare la qualità. Forse, evitando questa deriva, avremmo più gente che legge e libri a un prezzo più accessibile (e salveremmo più alberi). Gli editori sono chiamati a svolgere un ruolo essenziale e prezioso: quello di “motore culturale”. Devono indicare nuove vie, “istruire” il lettore – e lo scrittore – di domani. Per fortuna ci sono felici eccezioni. Come le edizioni Graphofeel, che mostrano di voler coltivare i nuovi impulsi e le nuove tendenze letterarie. Lontano dal “già visto”, da ogni appiattimento “di genere”

 

[da 11 ottobre 2016]


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