Del Morbo. Ovvero: di fronte al vascello dei massimi interrogativi
di Giuseppe Talarico

In un indimenticabile libro di Pietro Citati, La Luce della Notte, la letteratura è vista come il linguaggio fondamentale per illuminare e rischiarare la tenebra e l’oscurità che avvolgono e circondano la vita umana. Infatti, analizzando le opere degli autori del mondo antico, da Omero a Erodoto fino a Apuleio e Lucrezio, il grande studioso dimostra che la letteratura è notturna, vale a dire proietta una luce sulla tenebra, rendendo possibile la conoscenza legata alla capacità di raccontare storie rappresentando, mediante la finzione e la poesia, i drammi, le passioni individuali e collettive, il bisogno incoercibile dell’uomo di pervenire alla verità intorno all’origine misteriosa e inafferrabile della vita.
Altri autorevoli studiosi del nostro tempo, come Giulio Ferroni, sostengono che ormai, a causa della dominante presenza della tecnica, alla letteratura spetti una funzione residuale; per costoro, nel nostro tempo, si è prodotta una situazione che condannerebbe la letteratura a una condizione postuma.
In realtà, l’uomo contemporaneo è solo di fronte ai massimi interrogativi che, secondo George Steiner, sono all’origine delle grandi opere letterarie, nelle quali troviamo le immagini poetiche necessarie per attribuire un senso alla nostra breve esistenza terrena. E allora il romanzo di Stefano Valente, edizioni Serarcangeli, intitolato efficacemente Del Morbo, è straordinario, poiché tratta di una vicenda, raccontata con grande maestria e sapienza narrativa, ambientata nel secolo dei Lumi, intorno al 1770, che assume un chiaro significato metafisico e, più in generale, spirituale.

Nel piccolo paese di Lille Havn, in un minuscolo regno situato geograficamente fra Prussia e Danimarca, si diffonde una epidemia mortale contemporaneamente all’infrangersi di una nave, di proprietà di un mercante olandese, sulla fiancata di un veliero dalle dimensioni spropositate. Questo veliero, mentre al clima insolitamente mite di dicembre subentra il freddo e il ghiaccio invernale, compare all’orizzonte di fronte al molo della cittadina, ed è ritenuto responsabile della diffusione del flagello abbattutosi su Lille Havn.
L’aspetto che suscita la maggior inquietudine fra i dotti — dallo scienziato Pauli, il medico, al Guardasigilli von Wolff, ex gesuita che ha abbracciato gli ideali della cultura illuminista, fino a Thorvaldsen, il maestro di scuola — sta nel fatto che le persone contagiate, prima di morire, si abbandonano tutte al delirio, nel corso del quale ripetono la stessa e identica storia: sul vascello, comparso all’orizzonte davanti al piccolo porto, Cristo sarebbe tornato per giudicare gli uomini.
Non bisogna dimenticare che la narrazione ha come sfondo gli anni terribili delle guerre di religione, durante le quali l’Europa sarà lacerata nella dura contrapposizione tra le monarchie cattoliche e gli stati che hanno accolto la riforma luterana. In questo punto l’autore del libro mette in condizione il lettore di capire quale sia il comportamento degli uomini di cultura, nel secolo dei Lumi che riafferma il primato della ragione sul fanatismo religioso, e quale il loro atteggiamento di fronte ad eventi inspiegabili. Notevoli le pagine del dialogo fra il dottor Pauli e il cancelliere del regno, che, con sconfinato cinismo, vuole segregare il paesino per due motivi: sia per impedire il propagarsi della malattia, sia per soffocare la mania religiosa e la superstizione.
D’altro canto, il veliero all’orizzonte è un simbolo metafisico irraggiungibile per gli uomini: essi vivono separati da ciò che appartiene alla dimensione soprannaturale e divina. Così l’autore, verso la fine del libro, confessa di esser convinto che vi siano avvenimenti umani per i quali non esistono spiegazioni plausibili.

Ma quali sono i modelli letterari cui lo scrittore Valente fa riferimento? Durante la lettura abbiamo pensato alla Storia della colonna infame di Manzoni, alla Peste di Camus, ai Fratelli Karamazov di Dostoevskij, alla Linea d’ombra di Conrad.
Il racconto in forma di cronaca è efficacissimo, poiché la vicenda viene rappresentata da diversi punti di vista: quello del maestro elementare che scrive un diario; quello del soldato che riferisce la sua soggettiva versione dei fatti al cronista impegnato a comprendere gli avvenimenti di Lille Havn; quello della favorita che, spinta dalla necessità di capire quanto accade nella cittadina, si recherà di persona a verificare la dimensione e la portata della tragedia. E proprio la parte più affascinante della narrazione, in cui si è pienamente rapiti dall’uso di una lingua d’altri tempi, ricca di richiami alla cultura settecentesca, è forse la lunga lettera, scandita in tre capitoli, alla conclusione del romanzo. A scriverla al re del piccolo stato nordeuropeo è Madame Beatriz de Bragança, la favorita ed amante del monarca. Donna di vasta cultura, al termine di un viaggio difficile e rischioso, a arriverà a Lille Havn; osserverà le devastazioni prodotte dall’epidemia; rimarrà segnata dalla desolazione e dal senso di morte, dalla fine dolorosa della vita quotidiana della comunità. Figlia del suo tempo, donna che ripone le proprie speranze nella scienza e nello sviluppo dell’umano sapere, viene a conoscenza che i sopravvissuti al morbo hanno preso il largo su tre barche dirette verso il misterioso veliero; decide di affrontare il viaggio in mare a sua volta. Ma non sveliamo cosa avverrà durante la navigazione; ciò che la piccola barca su cui stanno la favorita, un medico, ed altri, dovrà passare; e, infine, chissà, la “visione” del vascello, delle sue fiancate sulle quali qualcuno leggerà una scritta, un nome: «Provvidenza», oppure «Nemesi».
Un’opera, quindi, che ha (e questo è uno degli aspetti più intriganti del romanzo), una struttura narrativa ritmata in più fasi: la medesima vicenda raccontata da più figure. L’essenza del romanzo, come genere letterario, è legata alla possibilità della moltiplicazione delle visioni, delle prospettive: ogni fatto, considerato soggettivamente, può esser narrato e descritto in maniera diversa. Del Morbo, di Stefano Valente, è attualissimo anche per questa sua particolare e specifica modalità descrittiva, che ne costituisce uno degli aspetti più rilevanti e significativi. La storia, raccontata magnificamente, indica quanto grande sia il bisogno di conoscenza dell’essere umano.

[da « Ragionamenti », n. 2, maggio 2005]

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