La
serpe e il mirto (1978) Nuova Edizione
di Adriana Alarco de Zadra
La storia di Rosario Aguilar Mendes si svolge in luoghi e in tempi diversi. Il suo arrivo come curioso viaggiatore sudamericano a Roma, in quell'ormai remoto, ma mai dimenticato 16 marzo '78 (la mattina del rapimento di Aldo Moro), è segnato da diversi sconvolgimenti politici tanto in Argentina, la sua patria, quanto in Italia.
È un uomo che non si lascia ingannare facilmente, Rosario Aguilar Mendes, e nel suo andirivieni incontra personaggi interessanti, alle volte disperati, tutti descritti con precisione e fantasia, come il rappresentante di scacchiere, il playboy brizzolato con l'occhio di vetro, gli sconosciuti subdoli, i fantasmi di ragazze belle e gelide oppure donne nude e sensuali che lasciano traccia di profumo di mirto al loro passaggio.
Il protagonista racconta i suoi sogni come hanno sempre fatto tutti nella sua famiglia, per un dono o forse un'eredità ancestrale dal peso insondabile. Sopraffatto dalla stessa letteratura - con cui vive e lavora -, le sue vicende si svolgono quasi in una sorta di dormiveglia: e allora scrive per paura di riflettere. A volte sembra ubriaco o drogato, e nel sogno/realtà si vede vivere al rovescio nel riflesso di uno specchio.
Molte altre persone calpestano i selciati di Roma, impreziosita dal caos delle razze e delle diverse culture, nel racconto di Rosario: fra queste ci sono indecifrabili aborigeni australiani, arlecchini-banditi dall'America Latina, novelli Don Chisciotte; ma anche dottori di medicina, semplici garzoni, barbieri. Aguilar Mendes scorre attraverso la città osservando, cerca risposte alle sue domande in una Roma in penombra, fra i vicoli lastricati, i portici vetrati, gli archi di pietra, le pensioni misteriose che compaiono e scompaiono nell'ombra come in un gioco infinito magico e meraviglioso. In quella Roma eterna, dove si trovano viaggiatori da luoghi diversi del mondo e si sentono parlare tutte le lingue, nessuno si sorprende di nulla: neanche dei miracoli o della morte o degli enigmi.
Si descrivono luoghi tipici e quotidiani come i bar, le banche, le piazze e i giardini o le chiese sommerse nel buio o nei sogni. Il protagonista, odiato dallo stesso autore, recapita pacchi misteriosi di documenti da una città all'altra, mentre si sente colpevole di guerre e di bombardamenti, dei desaparecidos, dei morti in battaglia o di quelli affogati e morti senza combattere, e lo sopraffà una voglia di Caos, tanto umana quanto struggente.
Questa storia di mistero, di spie, di diari, e di sentimenti succede fra le rive del Tevere, fra quelle del Tago e sulla costa della Terra del Fuoco alla fine del mondo.
Diversi animali lo inseguono durante i suoi viaggi: serpenti, gatti e altri con nomi di dèi o dèi con i nomi del Caos, in una babele di culti dove un profumo di mirto, onnipresente, rimane ad aleggiare sulla storia di Aguilar Mendes. Storia di spie con o senza nome e di fantasmi con o senza testa; di sedute spiritiche, segni, simboli; di sacerdoti e catacombe con libri dappertutto, tavoli che ruotano, viaggi nel tempo e nello spazio; di personaggi che non importa più se esistano oppure no, perché ciò che conta è se siano amici o nemici, falsi o reali: un labirinto di nomi e luoghi e non soltanto...
Ogni esistenza narrata ne La Serpe e il Mirto (1978) è un'ansia di Caos e il suo cibo è il Tempo. I suoi luoghi profondi sono tortuosi come le spire di un serpente. E alla fine - suprema, disincantata ironia della realtà, e insieme del mistero, il protagonista cercherà il segreto dei segreti nella melodia inconfondibile di un tango argentino.