Del Morbo - una cronaca del 1770 di Stefano Valente (2004, 136 pagine, Serarcangeli, prezzo: 11.00 Euro)
di Ankh

Temo, purtroppo, che non sarà facilissimo trovare in libreria questo breve romanzo di Stefano Valente, autore romano assolutamente degno di nota; ed è un vero peccato, perché si tratta di un lavoro pregevolissimo, certamente una delle cose migliori lette negli ultimi tempi, che meriterebbe sicuramente migliori distribuzione e visibilità. Indubbiamente non si tratta di un romanzo di semplice lettura, di quelli da spiaggia estiva: non tanto per il tema, di per sé già abbastanza particolare, quanto per il modo in cui è scritto, con una prosa non semplicissima ma incredibilmente bella e ricca, direi quasi d’altri tempi. Il romanzo è ambientato a Lille Havn, paesino di un immaginario e piccolo stato del Nord Europa, incastrato tra la Prussia, la Danimarca e il mare; la tranquilla vita di questo piccolo villaggio viene sconvolta da un doppio evento: la comparsa di un vascello, visibile talvolta in lontananza fuori dalla baia, quando le nebbie nordiche si diradano, e l’esplosione di un’epidemia di peste polmonare; le due cose sembrano stranamente collegate tra loro ma non solo: infatti i malati vengono colti da una particolare forma di fanatismo religioso e vedono nel vascello il mezzo con cui il Salvatore sarebbe tornato per salvare i suoi figli. Nel secolo dei lumi, il dilagare dell’irrazionalità religiosa sembra spaventare il mondo politico, e in particolare il cancelliere Schloss von Wolff (un ex gesuita divenuto ateo e anticlericale), molto più della mortale malattia e si decide di isolare completamente il villaggio attraverso un cordone di sicurezza, abbandonando gli abitanti al proprio destino. Nella situazione di crisi e delirio mistico, la popolazione inizia a comportarsi come ci si può aspettare in queste situazioni, alla disperata ricerca di una spiegazione (l’untore straniero) fino alla follia vera e propria (il tentativo, da parte di coloro che non sono stati affetti dalla malattia, di raggiungere il vascello su piccole barchette fatiscenti che non torneranno mai indietro). La storia viene narrata da un cronista che, non avendo vissuto in prima persona gli eventi, si basa sui pochi documenti rimasti (il diario di un maestro elementare, le lettere al re di una nobildonna straniera) e su interviste a persone che li avrebbero vissuti, con tecnica e, come già detto in apertura, stile magistrali. L’autore ama lasciare al lettore il suo ampio spazio interpretativo e, al termine del romanzo, rimane un profondo senso di dubbio e di mistero: i vari elementi presenti nel romanzo (la peste, il vascello, il secolo dei lumi, il fervore religioso, la presenza delle forze armate) sembrano tutti simboli di una complessa quanto oscura e affascinante allegoria che meriterebbe ulteriori approfondimenti; emerge dal racconto l’impressione di un sentimento anticlericale, esteso anche a coloro i quali fanno della ragione umana una vera e propria religione: quanto, lo stesso lume dell’intelletto, può essere (e certamente è stato nel passato) considerato una verità indubitabile e assoluta e fino a che punto ci si può spingere nel suo nome? Discorso simile si può fare riguardo all’uso indiscriminato del potere. La tecnica narrativa permette all’autore di mantenere un certo distacco, lasciando ancora più spazio all’interpretazione personale. Una storia, avvenuta tra le pieghe oscure della storia di un non del tutto immaginario 1770, ci riporta quindi a temi importanti e complessi e non può che farci meditare. A mio giudizio, un libro da cercare a tutti i costi. (Ankh)

[da Visita www.versacrum.com Recensioni di Libri — estate 2005]

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