BREVE STORIA DELL’ALCHIMIA. INTERVISTA ALL’AUTORE STEFANO VALENTE
di Biancamisia Verduri (Voce Blu )

Com’è nata l’idea di scrivere una storia dell’alchimia?

Nel 2008 è uscito il mio romanzo Lo Specchio di Orfeo, che poi è stato tradotto ed edito anche in Portogallo. Allora fu definito un “thriller esoterico”, ma io preferisco parlarne come di “thriller alchemico” vero e proprio. In quel libro ho giocato – com’è mia abitudine – con generi e strutture. E ho costruito la narrazione scandendola nelle quattro fasi principali del procedimento alchimistico, i quattro stadi nei quali viene trasformata la materia – o il metallo vile – per l’ottenimento dell’oro. Nigredo, Albedo, Citrinitas e Rubedo. Insomma: con Lo Specchio di Orfeo, trattando ad esempio della Praga “magica” di Rodolfo II, mi sono immerso giocoforza nei “labirinti” di questa disciplina, l’alchimia, antichissima e onnipresente nel corso della Storia umana – e della Storia occidentale. Da allora è stata una sorta di febbre che non mi ha più abbandonato (e l’alchimia ritorna, prepotentemente, nel nuovo romanzo che ora sto terminando). Ricerche, letture su letture, riferimenti incrociati a personaggi stralunati e mirabolanti, oscuri o tramandati in forma erronea. Pian piano è cresciuta in me l’esigenza di una risistemazione” dell’argomento. Ma che fosse finalmente libera da quell’insopportabile aura new age, da mistero da rotocalchi. Era necessario adottare un’ottica storica, e anche sintetica, per la vastità della materia. Spero di esserci riuscito, lascio al lettore, ovviamente, l’ultima parola…

Esattamente, che cos’è l’alchimia?

In breve e semplificando: il magistero alchemico è a un tempo la mera ars metallica, nella quale l’operatore – l’alchimista, per l’appunto – mette in atto ed esperimenta le conoscenze volte, attraverso la mutazione delle sostanze, a ricavare ciò che è chiamato la pietra filosofale – il Lapis philosophorum – o semplicemente l’oro (o l’elixir di lunga vita, o anche la panacea universale in grado di curare tutti i mali); ed è pure ricerca interiore, percorso mistico-filosofico alla fine del quale l’adepto stesso, conseguendo la conoscenza ultima, si identificherà con la materia aurea. È officina e tempio, in definitiva.

Sono molti i personaggi raccontati nel tuo libro. Quale ti ha colpito di più e perché?

Al di là dei vari – e più noti – Paracelso, Flamel ecc., sicuramente la figura modernissima, contraddittoria e per molti versi illeggibile di Cristina di Svezia. La regina che rinunciò a uno dei troni più potenti dell’Europa del Seicento per inseguire, nella Città Eterna, il suo vero scopo: ricercare l’oro segreto che coincideva con l’immortalità – metaforica e fors’anche reale. Per compiere tutto questo, si attorniò di dotti ed artisti, di quanto di meglio la Roma secentesca offrisse nei campi dello scibile e dell’ermetismo. Fondò un’accademia – che darà poi vita a quella dell’Arcadia – e, soprattutto, diede vita a un cenacolo frequentato dai massimi cultori dell’alchimia. In Cristina di Svezia mi sembra di avvertire una smania e un assillo per la conoscenza che non hanno eguali. L’incarnazione perfetta della ricerca incessante che costituisce spirito e essenza dell’alchimia.

Il concetto comune di alchimia rimanda a filosofia e magia. Ma esiste un modo per osservarla nella vita di tutti i giorni?

Domanda difficile… Mi viene da dire che, oggi, l’alchimia, o meglio le alchimie, non possono essere altro se non il cammino intimo, profondissimo, che ognuno di noi ha la possibilità di scegliere e percorrere, verso l’evoluzione del proprio sé. Il processo alchemico insegna un continuo correggere, rettificare, riformulare. È necessario, oggi più che mai, avere uno sguardo differente, obliquo, sulla realtà. Assumere un punto di vista altro, attento a cogliere il lato nascosto – che è spesso quello più prezioso, o l’unico vero. Andare finalmente oltre l’apparenza…

[da 1° luglio 2019]


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