Anton Pietro Valente nasce a Pedace (Cosenza) nel 1896.
Trasferitosi fin da giovanissimo a Roma, frequenta l’Accademia di Belle Arti dove si diploma al Corso superiore di Architettura. È allievo di Arnaldo Foschini (1884-1968 — che fu anche Preside dell’Accademia di S. Luca), studia Pittura con Pietro Bargellini (1875-1936 — tra le sue opere più significative le decorazioni realizzate per le sedi di Istituzioni romane: il Ministero degli Interni, l’INA, il Palazzo di Giustizia ecc.), e Decorazione con Umberto Coromaldi.

 

Pierre Vignal e gli altri

Terminati gli studi trascorre cinque anni, senza soluzione di continuità, presso Tivoli, a Villa d’Este, in una sorta di isolamento forzato « per prendere contatto direttamente con la natura ». Questi sono gli anni determinanti, durante i quali ha modo di conoscere numerosi artisti di fama europea: Ettore Roesler Franz, Onorato Carlandi (fra i fondatori della Associazione degli Acquarellisti e del gruppo I XXV della Campagna Romana), il catalano Santiago Rusiñol (anch’egli frequentatore di Tivoli e Villa d’Este) e i suoi giardini mediterranei, Ignacio Zuloaga; ma soprattutto ha modo di incontrare uno dei grandi acquarellisti del primo Novecento francese, l’allora già settantenne Pierre Vignal dell’Accademia di Parigi.
A quel tempo Pierre Vignal risiede in Italia per la realizzazione di acquerelli richiestigli per il volume di Gabriel Faure The Gardens of Rome. Al suo fianco Anton Pietro Valente lavora giorni e giorni, sia a Villa d’Este che fra gli uliveti di Tivoli. Due interi mesi che segnano indelebilmente il suo futuro d’artista.
A Tivoli Valente dedica diversi acquerelli raffiguranti vedute e scorci, come quelli della via del Seminario, della via del Colle e della chiesa di S. Croce.

 

Oltre il Vero

Dalla fase degli studi presso Villa d’Este prenderà il via una ricchissima produzione di acquerelli e pastelli: per tutta la sua vita l’artista ritrarrà vedute e scorci della campagna romana, dei paesaggi lacustri dolomitici, di giardini, boschi e montagne.
Successivamente approfondirà il bianco e nero e la tecnica chiaroscurale (si veda, ad esempio, il Pastore umbro — lavoro collocabile tra il 1933 e il 1943). In questo modo intraprenderà una via d’analisi scrupolosa della realtà, presto sublimata in una rappresentazione del tutto intima ed originale. Si tratta di una raffigurazione quasi “espressionistica”, che parte — senza mai tradirla — dall’osservazione rigorosa del Vero, e che del Vero riesce a far emergere i tratti immediati, drammatici, basilari, spesso invisibili.
Di questo passaggio è altamente dimostrativo il ciclo grafico degli animali (che, almeno dal ’60, segna la pittura di Anton Pietro Valente): chine, pastelli, punte d’argento, dalle quali erompe tutto il pathos, tutta l’umanità e il mistero del mondo non-umano di buoi aggiogati, cinghiali in attesa, di tigri e cavalli immortalati nel culmine della lotta (come in Lotta di cavalli).

 

Futurismo e fascismo

Come egli stesso si definì, in gioventù fu « contestatario in Arte e quindi nella vita, seguendo Marinetti, Boccioni, Severini e Sant’Elia. Il futurismo di allora equivale al movimento di contestazione, reazione al manierismo di un’epoca ».
In quest’ottica, probabilmente, la sua adesione al fascismo, del quale abbraccia più gli ideali che le forme esteriori, spesso in polemica con comportamenti e stili di vita che non si confanno alla sua sensibilità di artista.
È stimato, nell’ambito politico e del partito, per la sua statura culturale. Nonostante il suo carattere, fondamentalmente schivo, Benito Mussolini — che continuerà sempre a rivolgerglisi con rispetto, chiamandolo « signor professore » — lo nomina fiduciario del quartiere Celio. Anton Pietro Valente, a pieno titolo fra i gerarchi del regime, non ama però l’ideologia repressiva. Séguita nel proprio instancabile lavoro artistico, anche per il partito (realizzerà, ad esempio, l’arco trionfale di piante e luci, a forma di « M », per il ritorno del duce dall’incontro con Hitler; i carri di Tespi e altri allestimenti in occasione della visita del führer a Roma, nel 1938), ma è sempre più incerto di fronte alla “deriva interventista” che il Paese sembra sul punto di imboccare. I cittadini del Celio lo ricorderanno soprattutto come grande fautore e organizzatore di eventi sportivi — specialmente di riunioni pugilistiche, nelle quali forse riprende fiato quella tensione dinamica, futurista, di rottura, che l’aveva spinto all’adesione entusiastica alla rivoluzione fascista.
L’entrata in guerra, tuttavia, è un limite oltre il quale l’ansia dell’artista — già combattente, e leso a un timpano, durante il primo conflitto mondiale — non ha intenzione di andare.

«Giugno 1917, galleria del Werovacks, quota 418 — il goniometrista Valente mentre disegna una capra.» (Dicitura sul retro della foto) 

Alla notizia che l’Italia sta per scendere in campo a fianco della Germania nazista, Valente si precipita a Palazzo Venezia, chiede di essere ricevuto immediatamente nella Sala del Mappamondo. Comunica a Mussolini le sue dimissioni. Il duce si limita ad accoglierle, come un atto dovuto. Esorta, forse un po’ incupito e un po’ paternale, « il professore » a far ritorno alle sue tele e ai suoi studi.

Manifesto di A.P. Valente per la "II Esposizione d'arte della giovinezza Fascista" (agosto-settembre 1933)


Dell’esperienza fascista Valente — tendenzialmente riservato e introverso — parlerà poi solo se chiamato in causa, oppure per raccontare episodi curiosi (come quello della moglie Caterina la quale, per combinazione, visto Mussolini passeggiare sull’arenile di Ostia, a distanza dalla sua scorta e immerso nei casi suoi, insisté col marito fino al punto che l’artista, controvoglia, fu costretto a presentarla al dittatore).
Gli anni del dopoguerra coincisero con le difficoltà dell’epurazione, della sospensione dello stipendio.

 

La scenografia

Nella vasta produzione di Anton Pietro Valente non può non essere ricordata l’attività di scenografo.
Nel 1925, con Regio Decreto Legge del 1 maggio, viene fondata dal regime fascista l’Organizzazione Nazionale del Dopolavoro (OND) al fine di provvedere all’educazione politica e sociale del popolo italiano. Nell’ambito dell’educazione artistica la OND istituisce le filodrammatiche e i Carri di Tespi — tre per la prosa ed uno per la lirica —, questi ultimi dei veri e propri teatri itineranti.
Tra gli anni ’30 e ’40, Valente realizza infatti alcuni bozzetti scenografici per il « Teatro di Prosa n. 3 »: quelli per il I e II atto della commedia di Aldo Benedetti (l’autore più rappresentativo della drammaturgia italiana prima della seconda guerra mondiale) Lohengrin, del 1933; quelli per il I e III atto per l’opera Adriana Lecouvrier; ancora due bozzetti per il I e II atto della commedia Tra vestiti che ballano di Rosso San Secondo; al 1937 risale invece un bozzetto per il II atto della commedia Il tamburo di fuoco di Filippo Tommaso Marinetti, scritta proprio in quello stesso anno. Inoltre, nel ’37 e nel ’39, assieme a Nino Macarones, Valente firma le scenografie dei primi due film di Totò (Fermo con le mani, regia di Gero Zambuto, e Animali pazzi, diretto da Carlo Ludovico Bragaglia).

 

L’insegnamento, le esposizioni, i riconoscimenti

Nel 1934 gli viene assegnata la cattedra di composizione decorativa al Liceo Artistico di Roma e nel 1962 diviene titolare della cattedra di Bianco e nero all’Accademia di Belle Arti di Roma.

Particolare del giornale satirico «218B» del Liceo Artistico (1929): a destra la caricatura di Valente

Anton Pietro Valente fra i suoi studenti all'Accademia di Belle Arti


All’Accademia rimarrà fino al 1971, quattro anni prima della sua scomparsa avvenuta nella capitale, il 25 maggio ’75.
Alcuni dei suoi allievi continuarono a frequentarlo, ad approfondire il suo insegnamento anche presso lo studio privato di Valente. Si tratta di artisti non solo italiani: Rinaldo Geleng, Sandra Brunetti, il maltese Charles Cassar, ecc.

L'Artista con due suoi studenti stranieri

L'Artista con due suoi studenti stranieri


Numerose furono le partecipazioni a importanti collettive e rassegne tra la fine degli anni ’20 ai primi degli anni ’70, come numerose anche le personali e diversi i riconoscimenti (non ultimo il conferimento della medaglia d’oro della Presidenza della Repubblica come Benemerito della Cultura e dell’Arte il 2 giugno 1968).
Da segnalare poi, dal 1968 al 1972, la presidenza del Premio Internazionale di Arti Figurative « Arte Pro Arte ».

 

La « Donazione Anton Pietro Valente » al Comune di Sigillo Umbro

Nel 1986, tre anni prima della sua morte, il figlio Donatello dona un corpus di circa 170 opere del padre al Comune di Sigillo Umbro (Perugia), ove Anton Pietro Valente era solito trascorrere il periodo estivo. A Sigillo Umbro, infatti, l’artista aveva molto lavorato, ritraendo le scene delle campagne e dei suoi animali, studiando senza pausa le tinte pastose della terra e del verde.
La donazione, accolta dall’Amministrazione comunale con la promessa di una pinacoteca stabile per ospitare e mettere in mostra la collezione, ha visto, a tutt’oggi, appena due occasioni espositive (peraltro parziali). Nonostante l’orgoglio dei cittadini per l’artista — sentito ormai come elemento inscindibile dai loro luoghi —, i politici hanno addotto, a giustificazione, i motivi più vari — primo fra tutti i danni dovuti al terremoto dell’Umbria.
Sono già passati più di vent’anni: la speranza è che la « Donazione Anton Pietro Valente », di cui il Comune di Sigillo non manca di farsi lustro, non divenga l’ennesima testimonianza dell’incuria di una “certa Italia”, generosa solo di parole e promesse, nei confronti dei suoi tesori e della sua cultura. Chi scrive si sta battendo anche per questo.

(Alle ricerche e ai testi delle pagine dedicate ad Anton Pietro Valente ha collaborato la dott.ssa Loredana Braconi.)

 

 

Le mostre, i premi

La Donazione «A. P. Valente»

Galleria delle opere

Scenografie

La critica

Un’intervista del 1969

Bibliografia essenziale