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  Di seguito un’intervista del 1969 di Armando Decio,
  direttore della rivista « Il Nostro Vivaio ».
  Ne emerge la figura di un artista sensibile, di un insegnante impegnato ed attento.
  Un ritratto straordinariamente moderno.
di Armando Decio
Lo 
  scorso anno, nella Sala dei Dioscuri dell’Accademia di Belle Arti di Roma, 
  dopo i discorsi di commiato del Presidente dottor architetto De Angelis d’Ossat 
  e del Direttore, seguiti dalle premiazioni ai Docenti che consumarono con vera 
  dedizione quarant’anni in cattedra, strinsi anch’io le mani di uno 
  di quei Docenti. Ma in questo banale gesto convenzionale europeo, caro Anton 
  Pietro Valente, poiché le mani erano le Sue, io intendevo trasmettere 
  una sensazione primitiva, sì, destinata però a prolungarsi, a 
  sopravvivere. Ed oggi, infatti, la notizia del decreto Presidenziale che Le 
  conferisce la MEDAGLIA D’ORO di benemerito della Scuola, della Cultura 
  e dell’Arte, mi riconduce lietamente a considerare quella sensazione come 
  un’immagine immediata perché fratturata solo da una brevissima 
  pausa. Bacone chiamava le immagini « impressioni recise dal senso ».
  Come non fui tempista allora perché mi lasciai sfuggire di porLe delle 
  domande ruggenti, La prego adesso di porsi docilmente davanti al mio obiettivo 
  e di sottoporsi al mio... terzo grado.

Secondo Lei, quali sono i veri problemi che si dibattono nella scuola artistica italiana?
I 
  problemi che si dibattono nelle scuole italiane, comprese quelle artistiche, 
  sono da riassumersi principalmente in quella irrequietezza, a volte esplosiva, 
  che si è andata lievitando ad opera, e diciamolo pure, per colpa di tutti 
  quei docenti che non sono riusciti a capire l’indole, il temperamento, 
  lo stato d’animo del discepolo di oggi, il quale non tollera più 
  il paternalismo cattedratico specie quando la cattedra è “fisicamente” 
  vuota. Quindi, a mio modesto parere, sarebbe più logico promuovere una 
  ispezione ministeriale verso l’artista docente che antepone l’importanza 
  della sua opera e i suoi personali interessi ai doveri di cattedra; prima di 
  inviare la forza pubblica davanti all’ingresso delle Accademie per arginare 
  le proteste dei giovani.
  Ma non tutte le speranze della scuola artistica italiana sono perdute. Vi sono 
  maestri ferratissimi e ligi ai propri doveri che continuano ad andare verso 
  la gioventù pieni di entusiasmo, che amano studenti e scuola; e noi anziani 
  siamo convinti che le scuole d’arte e le Accademie sapranno presto ritrovare 
  il loro geniale cammino.
Ritiene che l’arte in Italia stia attraversando un periodo difficile, oppure sia mancante di contenuti tematici e di veri artisti?
Che l’Arte italiana attraversi un periodo difficile è cosa nota, basta sfogliare i diversi libri d’arte che si pubblicano per capire la confusione che ci circonda senza una via d’uscita; poiché il genio, il vero genio, è di là da venire. Quindi i contenuti tematici ai quali Lei accenna non hanno vita e consistenza in questo marasma. Dove trovare i veri artisti? Pensi che alcuni geni creati a forza dal critico C. E. Oppo, fin dalla I Quadriennale, oggi sono scomparsi dal movimento artistico italiano, lui compreso. Caro Decio, quando al tamburo si lacera la pelle...
Secondo Lei l’Italia può ancora ritenersi il Centro d’attrazione culturale ed artistico per l’Europa?
Assolutamente no, almeno in questo momento, specie per quanto riguarda l’Arte moderna suddivisa tra Venezia e Roma. Queste città ci fanno assistere a spettacoli e mostre di un settarismo peggiore dell’epoca in cui il Palazzo delle Esposizioni a Roma era in mano a Ettore Ferrari e “fratelli”. Mostre organizzate secondo i capricci di tre o quattro artisti. Lo sperpero di milioni su milioni che pagavano e pagano gli ignari contribuenti italiani, artisti compresi. Il movimento artistico italiano attraverso la Biennale di Venezia, in questi ultimi anni, è stato talmente ridotto d’importanza che, allo stato attuale, non ha possibilità tali da potersi presentare alla ribalta artistica europea. In alcune nazioni come la Germania e la Francia i fermenti moderni sono già in avanzati stadi di sviluppo concettuale e psicologico molto più serio che in Italia.
Parlando della Sua arte, quali sono gli interessi culturali che La spingono a sviluppare i temi della natura e degli animali?
Già un animale osservato nell’immensità della natura, spesso assume il valore di personaggio e ciò vuol significare arte e poesia. Ma io nel comporre un’opera sento e percepisco un’emozione dinanzi a qualunque attimo del Creato vivente e palpitante. Del resto non credo di fare nulla di nuovo, poiché nell’ottocento, Fontanesi in Piemonte, i Macchiaioli in Toscana, e la Scuola di Posillipo a Napoli con i Palizzi, ci hanno lasciato capolavori che spesso si sente la necessità di osservare e ammirare.
Oggi il nostro paese è ritenuto il primo d’Europa per i continui concorsi e manifestazioni più o meno culturali. Ritiene Lei questa pressante presenza di manifestazioni una cosa utile all’espansione della cultura nella società contemporanea?
È 
  ritenuto il Primo d’Europa, ma in realtà non lo è, per il 
  semplice fatto che questa pletora di premi, piccoli e grandi, serve per portare 
  in superficie nomi di presidenti di enti locali e nazionali per nulla qualificati, 
  che si trascinano dietro altre nullità vanitose e impreparate.
  Giurie di nessuna importanza artistica a qualunque settore appartengano, unitamente 
  ai furbi organizzatori pronti a speculare sulla ingenuità di quei pochi 
  concorrenti i quali spesso pagano somme esose per iscriversi sperando in un 
  diploma: autorità ufficiali permettendolo.
  La cultura letteraria, l’arte pittorica, l’arte scultorea in generale, 
  quale utilità ne detraggono? Si bandiscono concorsi dove i comitati organizzativi 
  non si vergognano di mettere in palio medaglie, coppe, diplomi, quando le spese 
  di tutto questo materiale non supera le trenta o quarantamila lire; ignorando 
  che un artista che si rispetti, per partecipare ad una « ex temporae » 
  pittorica, fra telaio, tela, colori e cornici, deve sin dall’inizio spendere 
  sulle ventimila lire. Comunque è ormai provato che i premi culturali 
  e artistici in Italia rappresentano un vero e proprio fallimento morale.
  Non vale la pena soffermarsi oltre su questo argomento.
Vorrei da lei un giudizio sulla Rai Televisione, e come scenografo sulle realizzazioni sceniche.
Sarebbe opportuno che i dirigenti della RAI-TV si rendessero ben conto che in Italia di scenografi ve ne sono a migliaia, e che queste migliaia di scenografi pagano anche le tasse all’erario. Ciò premesso, non sarebbe male che durante il periodo di preparazione del calendario artistico delle opere da realizzare in televisione, i signori dirigenti preposti bandissero dei concorsi fra scenografi per dare la possibilità: I) di cambiare spesso l’autore delle scene in base a concorso, come avviene nella televisione sovietica e nella BBC inglese, II) per togliere dalla mente di chi segue i programmi TV, il sospetto del « raccomandato di ferro », conoscendo le possibilità di resa di alcuni nominativi che compaiono sul video, III) per poter far lavorare un po’ tutta una schiera di artisti certamente bravi, e capaci di presentare e realizzare idee nuove e originali, evitando, alla televisione di fare magre figure come nell’allestimento scenico di « Canzonissima 68 », cito la più popolare delle emissioni, e altre realizzazioni ancora peggiori, dove per giustificare la essenzialità scenica, tanto in voga oggi, si è caduti nel conformismo strutturale fra tubi, riflettori e telai. Questa essenzialità scenografica impostata su criteri semplicistici ed approssimativi, spesso domina la messa in scena televisiva italiana.
Cosa ne pensa della così detta contestazione giovanile? crede che i giovani di oggi siano realmente diversi da come erano i giovani di ieri?
I 
  giovani di oggi non differiscono molto da quelli di ieri, soltanto sono le esigenze 
  attuali che sono diverse e che spesso ce li fanno apparire a noi, diversi. Intendo 
  parlare delle esigenze quotidiane, contingenti, che essi debbono affrontare 
  necessariamente, mentre noi spesso, o non le consideriamo, o volutamente le 
  ignoriamo. La contestazione da parte dei giovani, se fosse più genuina 
  e meno politicamente orchestrata, si inserirebbe a mio avviso, con più 
  serietà d'intenti, raggiungendo i suoi scopi fondamentali in un clima 
  di più serena discussione. È bene ricordare che anche noi in gioventù 
  fummo dei contestatari in Arte e quindi nella vita, seguendo Marinetti, Boccioni, 
  Severini, Sant’Elia.
  Il futurismo di allora equivale al movimento di contestazione, reazione al manierismo 
  di un’epoca.
Vorrei che ora mi raccontasse una sua esperienza in arte: un incontro con il personaggio che ritiene sia stato determinante nella sua lunga operosità di artista.
Deve 
  sapere che appena terminati i miei studi presso l’Accademia di Roma, con 
  i Maestri Bargellíni e Arnaldo Foschini, credetti opportuno prendere 
  contatto direttamente con la natura, chiedendo ospitalità in Villa d’Este 
  di Tivoli, ove rimasi ininterrottamente a lavorare per cinque anni. In questi 
  anni ebbi occasione di conoscere molti artisti di fama europea: Onorato Carlandi, 
  Roeseler Franz, Ignacio Zuloaga, Santiago Rusiñol e tanti altri, i quali 
  riprodussero le bellezze della villa in mille svariati modi e con tecniche, 
  le più varie e valide. Tra questa notevole schiera ve ne fu uno: Pierre 
  Vignal dell’Accademia di Parigi, certamente uno dei più grandi 
  acquerellisti esistenti allora. Egli giunse in Italia per eseguire alcuni acquarelli 
  per il volume: « The Gardens of Rome » di Gabriel Faure. 
  Dopo avermi conosciuto, Pierre Vignal, si affezionò a me al punto di 
  trascorrere intere giornate insieme. Si lavorava seduti fianco a fianco, sia 
  in villa, sia fra gli uliveti. Io giovanissimo, egli settantenne pieno di premure, 
  di consigli, di suggerimenti.
  Passarono così due mesi, appena il tempo necessario per essere edotto 
  dei segreti della tecnica pittorica di questo mago dell’acquerello... 
  e poi il maestro Vignal partì per Parigi lasciando in me un ricordo profondo 
  e indimenticabile, veramente determinante per il mio futuro di artista.
Quando pensa maestro di effettuare una pur breve visita nella sua Calabria?
Il 
  desiderio di tornare a rivedere la mia terra è grande, grandissimo; vorrei 
  fosse possibile realizzarlo domani stesso. Tornare a rivedere il mio paesino 
  e la mia vecchia casa... quanti ricordi, quanti affanni. Ho lottato all’estero 
  e in patria sempre per tenere alto l’onore della mia Calabria e dell’Italia. 
  Spero sarà possibile questo viaggio quando si realizzerà ciò 
  che da tempo sto cercando di concretizzare: far si che il Museo di Cosenza ospiti 
  una serie di mie opere a ricordo, e come pegno d’Amore di un calabrese 
  verso la sua terra.
  Non nego che le difficoltà sono numerose. In Italia anche il donare diventa 
  una insormontabile difficoltà burocratica.
  
  
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